Damiano David, l’illusione dell’eccesso: ora l’approdo in Asia
Dalla gloria sanremese al palcoscenico globale, Damiano David si muove oggi come un attore in cerca di copione: affascinante, mediatico, fotogenico. Ma dietro l’ossessione per l’estetica e la presenza nei festival internazionali, si cela una domanda scomoda: che cosa resta di autentico nel suo personaggio?

C’è una domanda che torna, martella e infine scava: Damiano David ha ancora qualcosa da dire, o è solo impegnato a urlare più forte degli altri per farlo dimenticare?
Forse, in realtà, la verità è che l’ex ragazzo prodigio dei Maneskin è diventato il manifesto pubblicitario di sé stesso. Un’icona lucidata, confezionata, venduta al dettaglio su ogni passerella, copertina, palco globale.
Ma di cosa è davvero simbolo Damiano? Di un talento, verosimilmente, ma sempre più soffocato da una strategia estetica che si ripete come un algoritmo bloccato. Uno che vuole incarnare il rock mentre lo rende banalmente sterile. Uno che pretende di scandalizzare con l’aria di chi ha conosciuto Bukowski grazie ad un reel di trenta secondi.
E va bene, magari è solo perché il panorama musicale è cambiato; ma c’è ancora qualcosa che non passa inosservato agli occhi degli appassionati di cultura asiatica, ovvero la sua recente partecipazione al Seoul Jazz Festival. Che cosa ha significato realmente la sua presenza? È molto probabile che, chiunque ne capisca un po’, abbia pensato si trattasse dell’ennesima incoerenza travestita da mossa artistica.
Jazz? Davvero? In un festival nato per la raffinatezza, la profondità, l’esplorazione musicale, che cosa porta Damiano se non l’eco stanca del proprio mito? È come vedere una rockstar mettersi a declamare haiku: un gesto che vuole apparire sofisticato, particolare, ma che gronda vuoto.
Non è un caso se il suo tour mondiale prevede anche due date in Giappone, meta dove è già approdato per partecipare agli Anime Awards. Perché ora va di moda così: approdare in Asia è l’ultimo biglietto da visita del pop occidentale in cerca di legittimazione. Seoul, Tokyo, Singapore: luoghi che un tempo erano fucine di stile ora sono stati ridotti a tappe instagrammabili per artisti europei in crisi di identità.
E Damiano, in tutto questo? Damiano ci sguazza. Ha annusato l’odore del trend come un segugio addestrato: la Corea è una piazza calda, ancor di più Seoul. È cool, qualcosa di facilmente monetizzabile.
Non ha fatto eccezione neanche la Milano Fashion Week 2025, dove l’invasione di attori e idol sudcoreani è stata accolta con reverenza occidentale e il caro Damiano, puntuale come sempre, si è infilato nella giostra. Ma in questo cortocircuito culturale non si intravede nessuna reale fusione, alcuna ricerca. Solo opportunismo ben truccato. Solo l’ennesimo tentativo di prendere a morsi un’estetica altrui con il puro fine di nutrire la propria fame di riflettori.
E poi, il Lollapalooza di Chicago, dove sarà presente ad agosto. Una passerella planetaria che ospita anche giganti del K-pop. Coincidenza? No, assolutamente. Il sistema lo sa: se vuoi restare visibile, devi scodinzolare attorno a tutte le tendenze che funzionano. Un tempo, era innegabile che Damiano David guidasse la corrente, quando ancora era nella sua fase di massima realizzazione con i Maneskin. Adesso, è diventato un uomo che si aggrappa ai flutti, cercando di restare a galla senza quel trucco da pirata ribelle.
Certo, qualcuno ipotizza anche che possa arrivare un featuring storico. Magari con un’artista che ne rifletta lo stile, o meglio, lo stile che pensa di avere. I nomi papabili sono tanti, il primo che ci viene in mente sarebbe quello della rapper e attrice sudcoreana BIBI, che incarna una femminilità disarmata e un’estetica graffiata da ironia e inquietudine.
Questo ipotetico salto di qualità però non richiederebbe solo visione e sfacciataggine, qualità che al cantautore italiano senz’altro non mancano, ma anche verità. Significherebbe, dunque, smascherarsi.
Perchè in fondo, Damiano David è diventato l’emblema perfetto di questo tempo iper-consumato: tutto fumo e niente arrosto. Tutto gesto e nessun contenuto. L’ultimo avatar dell’aesthetic, che cambia pelle senza mai cambiare anima; e no, l’album nuovo da solista non vale in tutto questo.

Forse è giunto il momento di dirlo chiaramente: Damiano non sta evolvendo. Sta evaporando. Sta diventando l’ombra patinata di qualcosa che non ha mai davvero incarnato. E continuare a celebrarlo significa contribuire a quella grande illusione collettiva in cui la posa conta più della poetica, e la performance più della musica.
Non serve che smetta di cantare. Serve che inizi, finalmente, a dire qualcosa che non sia solo la sua immagine riflessa in mille specchi. O che, almeno per una volta, accetti la possibilità di deludere – non il pubblico, ma il personaggio.
Solo così, forse, potrà tornare artista. Se gli interessa ancora esserlo.