Segreti oscuri della Corea: le adozioni internazionali illecite degli anni ‘70
Spacciati per orfani o sostituiti a bambini già morti: la storia dietro lo scandalo delle adozioni in Corea del Sud.

La Corea è, ad oggi, uno dei Paesi con il più basso tasso di natalità. Ma non è sempre stato così. Infatti fino agli anni ‘70, nel Paese sussisteva il problema contrario. Ed era vissuto come una complicazione così grande, che lo stesso Governo coreano iniziò a spingere persone e agenzie verso le adozioni internazionali.
Purtroppo anche a costo di fingere di non vedere i vari sistemi illegali messi in atto, e che portarono alla separazione di numerosi bambini dalle loro famiglie, senza il volere di queste ultime.
Bisogna ricordare che dopo la Guerra di Corea, il Paese era uno dei più poveri al mondo. Il numero di sfollati, mendicanti, e addirittura di morti, era altissimo. Ma come in moltissimi altri Paesi, durante il periodo del dopoguerra, dal 1953 al 1970 circa, si assiste anche in Corea del Sud al cosiddetto baby-boom.
In pochi decenni la popolazione coreana quindi si triplicò. A questo punto, però, il Governo che era più propenso a investire sul lato militare che su quello sociale, iniziò a diffondere vere e proprie campagne pubblicitarie per promuovere famiglie meno numerose. Arrivando addirittura a distribuire contraccettivi e a dispensare sussidi sia per gli aborti, sia per vere e proprie sterilizzazioni.
Non dimostrandosi queste norme però abbastanza, il Governo coreano iniziò anche a promuovere l’adozione. Tra le categorie che più erano soggette ad essa, vi erano i bambini misti. Frequenti al periodo per la presenza di soldati, in particolare americani, in Corea durante gli anni della guerra, spesso questi bambini, proprio a causa del loro essere figli di padri stranieri, non venivano nemmeno considerati coreani.
Non rispettando i canoni di ‘coreanità’ dell’epoca, era comune quindi che le madri di questi bambini preferissero darli in adozione all’estero. Permettendo loro, in teoria, di vivere una vita migliore. Nel frattempo il Governo coreano aveva attuato tutte delle politiche che rendevano l’adozione, soprattutto estera, relativamente facile da attuare. Da ciò iniziarono a nascere numerose agenzie per le adozioni.
Queste agenzie però, per motivi di lucro, finirono per ottenere bambini da mandare all’estero anche con l’inganno. Le adozioni erano spesso gestite senza alcuna supervisione statale, consentendo a queste agenzie di falsificare i documenti per far passare i bambini come orfani, anche quando avevano genitori conosciuti e ancora in vita.
Spesso alle famiglie veniva detto che il bambino era morto e, in alcuni episodi di figli cresciuti all’estero, ormai adulti, che tornavano in Corea alla ricerca delle loro famiglie, lo shock dei familiari fu scoprire che il loro bambino era sempre stato vivo.
Tutto ciò è andato avanti fino agli anni ‘90, quando la Corea del Sud è passata a un drastico calo delle nascite, per arrivare al bassissimo tasso di natalità odierno.
Il successivo rapporto pubblicato dopo quasi tre anni di indagini svolte su questi eventi, ha riportato come i governi militari abbiano inviato circa 200 mila bambini all’estero, favorendo le adozioni internazionali come alternativa più economica alla creazione di un sistema di assistenza per i minori in difficoltà.
La società coreana sta lentamente riconoscendo queste ingiustizie. Le leggi sulle adozioni sono state riformate per garantire maggiore trasparenza e tutela dei diritti dellemadri e dei bambini. C’è ancora molto da fare. La sensibilizzazione su questi temi è fondamentale. È importante che storie come quella di questi bambini, ormai adulti, raggiungano un pubblico ampio, per promuovere comprensione e cambiamento.