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Napoli, gli allenatori dell’era De Laurentiis – Seconda parte(2015-2023)

Napoli: Rudi Garcia è appena il secondo tecnico straniero negli ultimi 19 anni. Da Ventura(2004) al trionfo con Spalletti, tutti gli allenatori che hanno fatto la storia recente del club azzurro(seconda parte)👇

Napoli
📷Maurizio Sarri, tecnico del Napoli dal 2015 al 2018voceliberaweb

Un’altra sorpresa. La scelta di puntare su Maurizio Sarri appare in netta controtendenza con quanto ricercato nel periodo che va dal 2013 al 2015 e ci riporta alla definizione iniziale di “intuito” per come questa va declinata in rapporto alle decisioni di Aurelio De Laurentiis riguardo la gestione del suo Napoli. Al presidente era bastata una partita della stagione precedente, in cui i partenopei erano affondati sotto i colpi di uno spettacolare Empoli, per capire che l’allenatore dei toscani, fautore di un calcio d’attacco che non trovava eguali nel panorama italiano, avrebbe potuto essere l’uomo giusto per il post Benitez. Un tecnico formatosi attraverso una lunga gavetta, ma lontanissimo dalla managerialità internazionale incarnata da Rafa, un maestro di campo, privo di un grande curriculum, ma con una filosofia di gioco ben precisa ed una dialettica sfrontata. Scommessa rischiosa in una piazza esigente come quella napoletana, che il patron azzurro decide di portare avanti con convinzione, certo che il tecnico di Figline saprà spazzare via lo scetticismo degli inizi.

Con l’arrivo di Sarri cambia drasticamente anche il profilo dei calciatori che vengono ingaggiati dal Napoli. Non più acquisti da club di prima/seconda fascia europea, bensì investimenti su giovani prospetti funzionali alla sua idea di calcio(Zielinski ed Allan su tutti), oltre alla valorizzazione di elementi facenti già parte dell’organico, come Jorginho, che prenderà finalmente le chiavi del centrocampo nel 4-3-3 disegnato dal ‘Maestro’ o come Kalidou Koulibaly, difensore senegalese che crescerà moltissimo sotto la sua guida, imponendosi come uno dei centrali più forti d’Europa. Impossibile poi non menzionare gli enormi benefici apportati da Sarri al reparto offensivo. Superate le difficoltà iniziali e assimilati i nuovi principi di gioco, calciatori del calibro di Insigne, Mertens, Callejòn ed Higuaìn vivranno grazie agli schemi elaborati dall’allenatore toscano le migliori stagioni delle rispettive carriere, specie il centravanti argentino, capace di fissare il record assoluto di reti in una singola annata di Serie A (36).

Il triennio sarriano ha senza ombra di dubbio offerto sul piano estetico il meglio che un allenatore passato da Napoli potesse dare alla propria squadra. Un calcio armonioso, geometricamente perfetto, fatto di possesso, triangolazioni e sovrapposizioni continue, volte ad ammattire gli avversari e a far godere il pubblico della visione di uno spettacolo in grado di rinnovarsi ogni settimana, su qualsiasi campo. Uno spartito mirabilmente scritto dal maestro, per i tifosi napoletani nel frattempo diventato il ‘Comandante’, in cui ognuno trova indicazioni utili a massimizzare il proprio valore, senza però attanagliare la fantasia dei singoli. A una tale bellezza non è corrisposta altrettanta efficacia in termini di risultati. Tanto divertimento, tante partite memorabili, numerosi record personali e collettivi riscritti, ma nessun trofeo. Con la crisi delle milanesi, temporaneamente escluse dalla lotta per il titolo, la formazione di Sarri emerge come principale antagonista della Juventus, di cui però non riesce a spezzare l’egemonia nazionale, pur avvicinandosi sensibilmente. La beffa arriva nelle battute conclusive della stagione 17/18 quando gli azzurri, dopo aver ingaggiato un appassionante duello al vertice con i bianconeri, finiscono per capitolare a quattro giornate dal termine, perdendo 3-0 a Firenze e spianando così la strada agli juventini, usciti vittoriosi tra le polemiche dalla sfida di San Siro contro l’Inter della sera prima. Lo “Scudetto perso in albergo, così lo ricorderà amaramente lo stesso Maurizio Sarri, è l’ultima cartolina di una parabola luminosa ma rimasta meravigliosamente incompiuta, in grado di regalare uno spettacolo travolgente, incantando in Italia e in Europa, senza tuttavia assaporare mai la gioia del trionfo. Per quello i tifosi azzurri dovranno aspettare ancora qualche anno.

📷altoadigeCarlo Ancelotti e Gennaro Gattuso si sono avvicendati sulla panchina del Napoli nella stagione 2019/20

Il colpo di teatro. Si è ormai compreso come nelle corde imprenditoriali di Aurelio De Laurentiis ci sia una certa propensione alla teatralità, alla ricerca dell’effetto sorpresa che spiazza tutti e sovverte i giudizi in un solo istante. Il ‘coniglio’ viene clamorosamente tirato fuori dal cilindro nell’estate del 2018. L’addio di Sarri, accasatosi al Chelsea, la delusione dell’ambiente per la mancata conquista del tanto agognato scudetto ed il più che legittimo desiderio di cambiare aria di alcuni uomini-chiave delle passate stagioni, costituiscono i segnali forti di un rischio ridimensionamento che appare piuttosto concreto. Il fuoco delle contestazioni, mai del tutto sopito, è pronto a divampare in città. Stavolta serve quindi un nome che cementifichi nuovamente il gruppo, rinnovi l’entusiasmo della piazza e rilanci in modo credibile le ambizioni del club tanto in Italia quanto in Europa. Insomma per evitare la diaspora serve un’altra grande mossa del presidente.

Il grande nome è quello del pluridecorato Carlo Ancelotti. Amico di vecchia data di De Laurentiis, il tecnico di Reggiolo fa ritorno in Italia dopo nove anni per accettare quella che si presenta come la sfida più intrigante della sua carriera: guidare il Napoli verso lo scudetto, soltanto sfiorato da Sarri. La sua esperienza vincente, unita ad una calma serafica da esibire nei momenti di difficoltà, avrebbe dovuto innestarsi su una squadra già forte e ben allenata, consentendole di fare quel salto di qualità che era mancato nel triennio passato e di arrivare finalmente al tricolore. Tuttavia, a conti fatti l’aver tenuto unito quel gruppo di calciatori sarà l’unico risultato positivo dell’operazione Ancelotti.

La prima stagione di Carletto a Napoli si chiude invero con dei risultati più che discreti, ma le aspettative su una maggiore competitività della squadra, basate sulle promesse fatte dallo stesso Ancelotti ed in qualche modo giustificate dal suo arrivo, vengono disattese del tutto. In campionato il secondo posto viene raggiunto senza patemi, ma la distanza dalla Juventus capolista torna ad essere siderale. Già nel mese di dicembre gli azzurri, sconfitti in extremis dall’Inter a San Siro, vengono virtualmente tagliati fuori dalla corsa per il titolo. Non va meglio in Coppa Italia, dove il Napoli viene estromesso dal Milan ai quarti di finale, replicando il percorso fatto con Sarri. E’ invece nelle competizioni europee, Champions prima ed Europa League poi, che si registrano le migliori partite sotto la gestione Ancelotti. Inseriti in un girone di ferro con Liverpool e Psg, completato dalla Stella Rossa, gli azzurri reggono il confronto con le due corazzate, sconfiggendo gli inglesi al San Paolo (1-0) e fermando sul pareggio i parigini sia all’andata in Francia (2-2) che al ritorno (1-1), risultati prestigiosi che però non comportano il passaggio agli ottavi, complice un peggior punteggio nella classifica avulsa rispetto ai ‘reds’. Retrocesso in Europa League, il Napoli si spinge fino ai quarti di finale, dove viene eliminato dall’Arsenal. L’annata si conclude quindi ancora una volta senza trofei, con un piccolo avanzamento in Europa ed un deciso calo di competitività sul fronte nazionale, pur mantenendo il secondo posto.

Interpellato dai giornalisti circa il bilancio stagionale, Aurelio De Laurentiis si dirà comunque soddisfatto del lavoro di Ancelotti, sostenendo che siano state poste le basi per un grande balzo in avanti. Parole queste che trovano conferma in quanto dichiarato dallo stesso Ancelotti: Un bilancio di fine anno?Per me è molto positivo, ho trovato giocatori seri e rispettosi, abbiamo giocato un calcio ad alto livello e la società mi appoggia e tutela. Da qui costruiremo qualcosa di importante“. Mai previsione si rivelerà più sbagliata…

La campagna acquisti dell’estate 2019 appare in linea con l’obiettivo condiviso da tecnico e società: puntare con decisione al vertice. Il sogno chiamato James Rodriguez non si realizza, ma arrivano a vestire la maglia azzurra calciatori come Kostas Manolas, Hirving Lozano, Giovanni Di Lorenzo, Elijf Elmas e Fernando Llorente. Rinforzi di spessore nell’ambito di un mercato che Ancelotti in persona valuta meritevole di un 10 in pagella. La stagione inizia sulla falsariga dell’anno precedente, con un rendimento dal doppio volto: sicuri e intraprendenti in Champions League, balbettanti in campionato. Quattro vittorie e due sconfitte nelle prime sei, con 10 gol subiti, ma tra ottobre e novembre la situazione addirittura precipita. La vittoria casalinga per 2-0 contro il Verona del 19 Ottobre resta l’ultima per i due mesi successivi. La tensione interna sale vertiginosamente fino ad arrivare all’assurdo post-gara di Napoli-Salisburgo (1-1) quando scoppia letteralmente il finimondo. La squadra si oppone al ritiro comandato dalla società e abbandona il San Paolo senza autorizzazione, contrariamente al tecnico che si reca in albergo insieme al suo staff. E’ lo strappo definitivo che compromette il rapporto tra le tre componenti fondamentali del club. L’esonero di Ancelotti, ormai annunciato, arriva all’indomani del successo per 4-0 in Champions contro il Genk che sancisce l’aritmetica qualificazione agli ottavi di finale, il lascito di Ancelotti al suo ‘allievo’ e successore: Gennaro Gattuso.

📷Repubblica – Gennaro Gattuso con la Coppa Italia vinta il 17/06/2020

Il Covid, la Coppa Italia e il disastro nel 20/21. L’esperienza di Gennaro Gattuso sulla panchina azzurra è suddivisibile in due filoni: i primi sei mesi, intervallati dallo scoppio della pandemia, in cui l’allenatore calabrese ex Milan è chiamato da De Laurentiis a porre rimedio al caos generatosi nell’ultima fase di Ancelotti ed il secondo anno, in cui avrebbe dovuto dare continuità ai risultati, riportando gli azzurri a lottare per il vertice. Occorre in primis restituire un’anima ad una squadra che col tempo ha smarrito ogni certezza, finendo per incepparsi. In quest’ottica il lavoro svolto da Gattuso, partito in condizioni di grande difficoltà, risulta davvero encomiabile. Dopo un avvio shock, con 4 sconfitte nelle prime 5 che fanno sprofondare i partenopei nella parte destra della classifica, il Napoli inizia ad acquisire i tratti salienti del suo nuovo allenatore. Gattuso capisce che è opportuno rispolverare il 4-3-3 di sarriana memoria, accantonato da Ancelotti, apportando delle indicazioni più marcatamente difensiviste, in un periodo in cui è di vitale importanza tornare a far punti. La formazione azzurra intraprende così una lunga scalata verso le posizioni europee, senza quasi mai brillare sul piano del gioco, ma ritrovando una solidità ed un senso di appartenenza che erano svaniti nella crisi della prima parte di stagione.

La stessa solidità permette al Napoli di trionfare in Coppa Italia, alla ripresa dei giochi dopo lo stop forzato a causa del Covid. Giugno 2020, nel giro di pochi giorni gli azzurri eliminano prima l’Inter in semifinale, poi si impongono ai calci di rigore contro la Juventus (4-2), tornando a sollevare un trofeo a distanza di sei anni dall’ultima volta. Quello che agli occhi di molti, tifosi e addetti ai lavori, poteva rappresentare l’inizio di un grande Napoli, capace di riproporsi con prepotenza ai piani alti, si rivelerà soltanto un acuto isolato in mezzo alla mediocrità di un biennio complessivamente fallimentare. Nella stagione seguente, 20/21, il Napoli di Gattuso si dimostra profondamente immaturo, mantenendo lo stesso andamento ondivago che si era già visto nel periodo ancelottiano. Grandi prestazioni dagli elevati contenuti tecnici e tattici si alternano a tonfi clamorosi. Ancora una volta tra dicembre e gennaio si addensano le principali criticità. Da un lato una lunga sfilza di infortuni priva il Napoli delle sue colonne portanti, dall’altro si palesa l’incapacità del tecnico di dare una direzione precisa al gruppo. Il sogno scudetto sfuma dopo il ko in trasferta contro il Verona (3-1) e la lotta per conquistare un posto champions si fa serratissima. Seguirà una fase di ripresa con 12 risultati utili consecutivi che non porterà però il Napoli a centrare la quarta posizione, utile a fare ritorno nella massima competizione europea. L’inaspettato pareggio interno all’ultima giornata con il Verona, stessa squadra che all’andata aveva spento le ambizioni tricolore, condanna gli azzurri all’Europa League. E’ l’ultimo atto da tecnico del Napoli di Gennaro Gattuso, salutato con un tweet da Aurelio De Laurentiis, già deciso a non confermarlo in panchina, a poche ore dalla fine del match👇.

Caro Rino, sono felice di aver trascorso quasi due stagioni con te. Ringraziandoti per il lavoro svolto, ti auguro successi ovunque tu vada. Un abbraccio anche a tua moglie e ai tuoi figli. Aurelio De Laurentiis

Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli. Non c’è altra strada🗣

Napoli
📷SpazioNapoli – Luciano Spalletti, 64 anni, è l’allenatore del terzo scudetto della storia azzurra

Il trionfo del coraggio. Cosa significa avere coraggio nel difficile mondo del pallone di oggi? Significa forse trovare la forza di prendere decisioni impopolari, portando avanti un’idea di rinnovamento, nonostante questa non trovi larghi consensi nell’immediato. C’è proprio il coraggio mostrato da De Laurentiis alla base della straordinaria cavalcata-Scudetto del Napoli edizione 22/23. Il coraggio di puntare nel 2021 sullo spirito di rivalsa di Luciano Spalletti, deciso a rimettersi in gioco per mostrare il suo valore dopo due anni lontano dal campo, il coraggio di salutare in blocco i senatori della squadra azzurra, riconoscendo di essere ormai arrivati alla fine di un ciclo, ed il coraggio di puntare su una serie di giocatori nuovi, motivati e in rampa di lancio verso orizzonti inesplorati. Lo scudetto del Napoli, oltre alla valenza storica dell’evento in sé, rappresenta infatti un capolavoro di programmazione, oculatezza e ‘vision’ imprenditoriale all’interno di un universo calcistico fatto di spese folli, montagne di debiti e scandali. Un esempio di gestione sportiva da cui il calcio italiano dovrebbe trarre spunto per crescere in questa fase storica di grandi squilibri economici.

Copertina:AssMazz

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