Cultura

La rappresentazione del dolore

Se come scriveva Victor Hugo ne “L’uomo che ride” ad “un bambino sono risparmiati i contorni remoti e sfuggenti che costituiscono la vastità del dolore” si può sostenere complementarmente il pensiero di Dostoevskij secondo cui “a volte l’uomo è straordinariamente e appassionatamente innamorato della sofferenza”. Questa distopica tendenza viene confermata anche attraverso l’arte, la quale nella filosofia di Schelling risulta addirittura come lo strumento conoscitivo gnoseologico più adatto, poiché essa è quell’espressione umana in cui “lo spirito” e “la natura” si fondono. Il mondo dell’arte e l’uomo sono quindi indivisibili. Ciò lo si coglie nettamente anche nella “Poetica” di Aristotele dove la stessa arte si intreccia con la tragedia, l’epica e il celebre concetto della catarsi. Una rappresentazione artistica palesa, perché appunto legata all’essere umano, quell’indissolubile rapporto con la realtà, con la storia, la quale può essere avvertita come una “collezione” di avvenimenti, di accadimenti, di fatti storici che l’arte sottopone invece ad una rielaborazione. Se la storia racconta l’universale, un quadro, una canzone o anche un’opera letteraria hanno la capacità di concentrarsi sul particolare. E quest’ultimi sono proprio gli stessi mezzi attraverso i quali spesso si palesa meglio quella “tendenza al dolore” richiamata da Dostoevskij.

Forme come la fotografia e la scrittura sono oggi i veicoli attraverso cui si riporta la sofferenza della guerra in Ucraina, quegli atroci avvenimenti che segnano con la matita rossa il periodo che stiamo vivendo. Sono molti gli articoli, i reportage e le gallerie fotografiche che in queste settimane ci hanno catapultati in una dimensione cruda e terribilmente disumana, come diverse sono le emozioni delle quali esse si fanno carico. Uno degli scatti maggiormente significativi di ciò che sta accadendo nel territorio ucraino è quello che ritrae una bambina di 9 anni seduta su una finestra mentre imbraccia un fucile e tiene fra i denti un lecca-lecca. La foto, pubblicata dal padre sui social, è divenuta certamente uno dei simboli della resistenza di un’intera popolazione, bambini compresi. Tuttavia quell’immagine, pur rappresentando la volontà e la tenacia di ogni ucraino, il colpevole incontro tra la guerra e i bambini, risulta essere una “foto posata”. Nonostante ciò essa rimane uno spunto su cui riflettere circa le atrocità che si stanno commettendo, permettendo quindi ai più giovani di entrare in contatto con quel male che come sostiene Victor Hugo “essi non dovrebbero conoscere pienamente”.

Un’opera nasce certamente da qualcosa di autentico. Può essere un paesaggio, un immagine di vita quotidiana, un pensiero, un sogno. Non importa la consistenza ma l’origine. Tuttavia nel suo processo di “configurazione”, attraverso quei sentimenti e quelle passioni delle quali si fa carico, essa può arrivare ad essere rappresentata in diversi modi. Se spesso la naturale propensione dell’uomo per l’arte e la sofferenza si uniscono, raramente le stesse danno vita ad identici prodotti. Ciò avviene innanzitutto a causa della diversa personalità di ogni soggetto, il quale può essere influenzato da particolari situazioni e precisi momenti storici.

La diverse “gestione” nella rappresentazione artistica del dolore può essere sostenuta dal confronto tra due opere che hanno sì differente forma ma che si caratterizzano per una sofferenza comune, quella della perdita di un amico.

Uno dei quadri più celebri della storia e della pittura francese è certamente “La morte di Marat” di Jacques-Louis David. Jean Paul Marat è indiscutibilmente uno dei protagonisti della Rivoluzione Francese. Il 13 luglio del 1793 il politico e giornalista giacobino viene ucciso da Charlotte Corday, una sostenitrice girondina e il corpo viene ritrovato immerso in una vasca d’acqua (pratica alla quale ricorreva per lenire i dolori di una malattia della quale soffriva) mentre ancora il sangue della pugnalata gli scorre sul petto. Sicuramento ciò che contribuisce in modo assai importante nella realizzazione del quadro è il dolore che David prova per la scomparsa dell’amico, al punto da arrivare a compiere una raffigurazione fortemente celebrativa di Marat, volta anche a tratteggiarne il profilo come se fosse quello di un martire della Rivoluzione. In questo lavoro commissionatogli dal “governo giacobino”, il pittore francese raffigura addirittura il braccio abbandonato dell’amico come quello del Cristo morto nella Deposizione Borghese di Raffaello nell’intenzione di donare una sacralità della quale evidentemente considerava l’amico meritevole.

Il confronto con un’opera dove il dolore ha fatto da “cassa di risonanza” per la creazione della stessa si costruisce invece con la canzone “Preghiera in gennaio” che De Andrè scriverà e dedicherà all’amico Luigi Tenco. Questa volta la rappresentazione della sofferenza non è esplicita come quella che fa David, come d’altronde anche la dedica taciuta e “difesa” per molti anni dal cantautore. Se il pittore francese presenta inequivocabilmente l’amico come un “martire” De Andrè compie un’operazione più intima, quasi fosse una “preghiera”. Ispirandosi alla poesia francese “Prière pour aller au paradis avec les ânes” del poeta Francis Jammes, Faber chiede infatti a Dio di accogliere i suicidi come Tenco che hanno scelto di morire perché oppressi dal mondo.

Arte e dolore sono argomenti centrali anche per Aristotele, il quale comprende come la loro unione possa permettere all’uomo di formarsi e di crescere. Il filosofo greco infatti parla di catarsi come la “purificazione” delle passioni di chi assisteva ad una tragedia. Per Aristotele rapportarsi con le passioni educa il soggetto alla realtà che vive. Parallelamente ciò che diseduca un uomo e un’intera società è quando la “propensione alla sofferenza” che Dostoevskij riconosceva viene trasformata in una sorte di spettacolarizzazione del dolore, pratica assai comune in molta della comunicazione di oggi. Se la foto della bambina ucraina con il fucile in mano risulta “parzialmente autentica” occorre ricordare come durante il racconto di questo conflitto siano state molte le immagini, i video o gli aneddoti che falsamente venivano riportati, diffusi esclusivamente per far notizie e strumentalizzare non solo gli orrori di una guerra ma i sentimenti più autentici di chi si trova a combatterla È allora compito dell’artista, del fotografo, dello scrittore ma anche dell’opinione pubblica difendere quella passione così negativa come il dolore, così intensa tanto da essere capace di produrre degli effetti sia in chi la prova che in che la osserva operare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *