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Il personalismo della politica

Lo scorso 22 aprile è scaduto il termine ultimo utile alla presentazione dei simboli delle liste in vista delle prossime elezioni europee. Su un totale di 42 simboli presentati ben 11 contengono un diretto riferimento al nome del leader del partito o al suo stesso fondatore. All’interno dello scenario europeo, tra le principali nazioni, soltanto l’Italia presenta questa “caratterista”.

Certamente la scelta adottata dai nostri partiti appare pienamente in linea con quel fenomeno della “personalizzazione” della politica che a partire dalla Seconda Repubblica è diventato centrale nel panorama italiano. Silvio Berlusconi con Forza Italia ne è stato il principale esempio.

La fine della Prima Repubblica

Mentre la Prima Repubblica si sgretolava con lo scandalo di Mani Puliti, i partiti si scioglievano e la magistratura emanava sentenze di condanna, un forte senso di smarrimento e di sfiducia si diffondeva nell’elettorato quale diretta conseguenza. Ai pochi che non sembravano affatto meravigliati da quel sistema si contrapponeva la moltitudine, quella stessa gente che animava i partiti e i rispettivi circoli, la stessa folla che seguiva i comizi e che scendeva in piazza per un ideale.

Proprio gli ideali erano il punto focale di un sentimento politico che certamente poteva vestire i panni di un partito piuttosto che di un altro ma che sicuramente spingeva molti ad interessarsi delle questioni più importanti della res publica, a scendere in campo e a lottare per un modello di politica nel quale credevano. Con il “terremoto” che tra il 1992 e il 1994 ha visto il crollo di molte delle colonne della Prima Repubblica, quel senso di sfiducia che nasceva come spontanea reazione alle indagini e alle condanne portate avanti dal pool Mani Pulite, si è inesorabilmente esteso alle ideologie e ai principi che fino a poco tempo fa erano stati il paradigma della politica.

Com’è cambiata la politica

Sono proprio quegli anni a divenire il punto focale per rintracciare una “politica degli ideali” inesorabilmente sostituita da una “politica degli interessi”. Una mutazione che si è installata progressivamente in chi era chiamato a gestire la “cosa pubblica” ma che per una diretta contaminazione ha portato alla diffusione di tale logica anche all’interno del tessuto sociale. Le conseguenze sono state a dir poco disastrose.

Larga parte del populismo che oggi va a permeare la nostra realtà politica ha poi posto le sue basi proprio su quel sentimento di sfiducia e di tradimento che i cittadini hanno vissuto. La reazione è stata l’allontanamento dalla politica, la diffusione di una considerazione negativa della stessa, vista sempre più come “uno sporco affare”. In uno scenario come questo alcune figure però sono riuscite nella sfida di ottenere nuovamente la fiducia degli elettori, riuscendo soprattutto ad empatizzare con loro. L’esempio più grande è quello già richiamato di Silvio Berlusconi. Fondata Forza Italia la plasma immediatamente come “la sua creatura”, realizzando un partito all’interno del quale nessuna ideologia e nessun programma poteva avere più risalto della figura del suo stesso leader. Una scelta che ha certamente premiato l’ex premier ma che si è rivelata un’arma a doppio taglio, sia per il partito che per il suo stesso elettorato.

La ricerca del leader

Negli anni la politica italiana ha sempre più perseguito la strada del personalismo, cercando fra sondaggi e proiezioni quel leader al quale affidarsi e con cui empatizzare, la figura da chiamare per nome e da avvertire come “uno del popolo”. La classe dirigente ha così basato la sua retorica e la sua comunicazione su schemi utili a sfruttare questa tendenza, molto spesso però a danno dei programmi e degli ideali. Tante delle scelte fatte nei seggi oggi si fonda sulla simpatia del leader, si basa sul nome e sul personaggio che scende in campo, poco o quasi nulla sui contenuti di una proposta politica che risulta essere scarna e incapace di gestire le questioni più importanti o quelle più delicate.

L’8 e il 9 giugno si svolgeranno le elezioni europee, un appuntamento al quale l’Europa non può sbagliare. Le tensioni che dall’Ucraina si spostano alla Striscia di Gaza, le sfide economiche che vedono l’avanzata di nuove realtà, il progresso tecnologico e la tutela dell’ambiente sui quali siamo molto indietro rispetto ad altri Paesi, sono tutti campanelli d’allarme ai quali bisogna rispondere con una politica competente e capace di invertire la rotta. Il personalismo che campeggia sui simboli è l’errore più grande di una larga fetta di politica che base la propria appetibilità sui nomi dei loro leader e non sui programmi.

Cosa serve alla politica

Il fatto che fra poco più di un mese un elettore affidi attraverso la simpatia o la stima verso un politico la propria preferenza, senza magari conoscere banalmente la differenza tra Consiglio Europeo e Consiglio dell’Unione europea, è l’evidente prova di una politica in cui vince l’ignoranza, un pericoloso gioco nel quale rischiamo di compromettere il nostro futuro e quello delle prossime generazioni. Al posto di leggere i cognomi sui simboli, assecondando in molti casi una continua campagna elettorale basata sui nomi e spoglia di contenuti, dovremmo ricercare i programmi elettorali e le proposte dei candidati, le idee e gli strumenti che ogni forza politica esprime attraverso le sue candidature.

Al tempo stesso non basta trovare quella singola proposta che meglio risponde ai nostri bisogni o ai nostri interessi, dobbiamo avere la capacità di trovare e seguire quei programmi in linea con la nostra ideologia e nei quali possiamo individuare convintamente la strada che come comunità dobbiamo percorrere. Quando questi mancano però non si può evitare di esercitare un diritto che dobbiamo invece onorare, non possiamo cedere al nostro interesse specifico o votare per simpatia. Siamo responsabili del futuro e dobbiamo avere la voglia di invocare proposte, idee e competenze. Sono questi gli elementi su cui costruire il nostro domani, non i nomi dei leader di partito.

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