Moda

Fast Fashion: I Danni fra Inquinamento e Sfruttamento

I colossi dello shopping online nascondono dietro di loro il mondo del fast fashion che al momento del “clic” nemmeno immaginiamo. Sicuramente nell’ultimo periodo sarà capitato a tutti di ricevere un link da cliccare per aiutare amici e parenti a vincere il famoso buono da 300 euro di Shein.

Proprio questo colosso del fast fashion è stato oggetto di innumerevoli inchieste da parte di tanti programmi televisivi. Il fenomeno del “Fast Fashion” può infatti avere dei vantaggi come quello di ricevere capi di abbigliamento in qualsiasi parte del mondo, velocemente e a prezzi bassi ma con lo svantaggio che la quantità di vestiti prodotta e rapidamente buttata via è aumentata esponenzialmente.

Da un punto di vista ambientale occorre chiarire fin da subito che l’industria tessile in generale è tra le prime cause di inquinamento. La produzione tessile ha bisogno di utilizzare molta acqua, senza contare l’impiego dei terreni adibiti alla coltivazione del cotone e di altre fibre.

Alcune stime indicano che per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrano 2700 litri di acqua dolce, un volume pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo. Nel 2020, il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo.

In quell’anno, sono stati necessari in media nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino dell’UE.

Fonte – Verdeyazul

Analizzando il punto di vista lavorativo possiamo dire che Greenpeace ha più volte denunciato il fatto che nella maggior parte di questi vestiti, proprio per rendere il capo economico e abbattere dunque i costi di produzione, si utilizzano dei materiali rischiosi non solo per l’ambiente ma in primis per la salute.

Infatti per garantire un prezzo basso nel capo d’abbigliamento in questione si utilizzano materiali scadenti e si sfruttano i terreni dei paesi in via di sviluppo mettendoli ancora di più in difficoltà e offrendo ai cittadini (che ne hanno disperato bisogno) la falsa speranza di un posto di lavoro correttamente retribuito, cosa che ovviamente non avviene.

Come al solito chi paga i danni di tutto ciò sono proprio i lavoratori che entrano a contatto con queste sostanze ma anche le popolazioni che vivono vicine ai luoghi di produzione a causa in primis dell’inquinamento delle falde acquifere.

Il fatto che il vestito arrivi all’acquirente in pochissimo tempo implica tempi di produzione brevissimi portando i lavoratori a lavorare in maniera estenuante 17-18 ore al giorno con uno stipendio mensile di 540 euro. Senza ferie o festivi e con un giorno libero a malapena una volta al mese.

Fonte – Fashionista

Nonostante tutto però il business di questo sito continua ad andare avanti per via dell’ingente numero di persone che acquistano su questi siti. Volendo cogliere però il problema alla radice dobbiamo considerare che molte persone non hanno uno stipendio soddisfacente a tal punto da potersi permettere una maglietta di 15-20 euro e preferiscono affidarsi a tali piattaforme online spendendo 5-6 euro. Tuttavia L’UE, tramite una serie di iniziative, sta cercando di diminuire l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente per un futuro più sostenibile.

Fonte immagine in evidenza – ZeroWasteMemoirs

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