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Désiré Doué, il gioiellino che può illuminare la finale di Champions 

A 19 anni Désiré Doué è già uno dei protagonisti del PSG di Luis Enrique. Il suo nome, che in francese significa “desiderato” e “dotato”, sembra una sintesi perfetta di ciò che rappresenta: un talento precoce e imprevedibile, capace di portare fantasia e struttura in un sistema che impone disciplina.

📷 persemprecalcio.it Désiré Doué, 19 anni, centrocampista del Paris Saint Germain voceliberaweb.it 📷

Cosa succede quando un giovane talento rifiuta di scegliere tra l’efficacia e la meraviglia? Quando non sente il bisogno di giustificare una giocata difficile con una statistica rassicurante? Succede che nasce un’anomalia. Nasce Désiré Doué. 

Il problema, forse, è nel tentativo stesso di incasellarlo. Cosa si fa con un calciatore che sembra anarchico, ma che in realtà interpreta le rigidità del calcio moderno con una duttilità quasi zen? Perché poi, alla fine, Doué non è solo estro, né solo compito. E quasi sembra una contraddizione funzionale. 

A brevissimo, lo attende la prova più alta: la finale di Champions League contro l’Inter, appuntamento che separa le promesse mantenute dai grandi riconoscimenti. Ma prima di immaginarlo nello scontro con Barella o Bastoni, vale la pena provare a capire chi è Doué e cosa lo rende, nel panorama attuale, un giocatore così singolare. 

Il gesto tecnico come manifestazione del pensiero. Non basta dire che è bravo nel dribbling. Sarebbe come definire un poeta “abile con le rime”. Per capire davvero Doué, occorre osservare come costruisce l’azione anche quando sembra non esserci margine. 

Due episodi recenti aiutano a capirlo, proprio perché apparentemente non significativi. Il primo, ad Anfield, durante i tempi supplementari contro il Liverpool: su un corner mal gestito dal PSG, si ritrova isolato sulla linea laterale, Gakpo lo chiude frontalmente. In teoria, situazione da scarico immediato o perdita secca. Invece, Doué prova un gesto tecnico che sembra più un’illusione ottica che una giocata: con la suola si passa la palla dietro la gamba d’appoggio, poi la riprende con il piede opposto e tenta un tunnel improvviso. Gakpo lo chiude con la spalla, l’arbitro non fischia. Risultato? Palla persa. Eppure, il gesto resta impresso. Perché in quella sequenza c’era più intelligenza che incoscienza. 

Stessa cosa contro l’Aston Villa. Pressato da Lucas Digne sulla fascia, Doué prova una Veronica alla Neymar, ruotando col pallone sotto la suola per superare l’uomo. Anche qui: palla persa. Anche qui: situazione chiusa a chiunque, tranne a chi pensa che l’impossibile meriti almeno un tentativo. 

Sono dettagli, certo. Ma nel calcio, spesso, sono proprio i dettagli a rivelare la profondità del repertorio di un giocatore. E Doué, a dispetto della giovane età, possiede un vocabolario tecnico di livello raro

Un talento plasmato nell’intensità. Chi lo conosce sin dai tempi del Rennes lo racconta come un ragazzo consapevole, capace di rischiare perché lucido, non perché incosciente. Lo ha fatto già da giovanissimo, quando Julien Stéphan, nel momento più difficile della stagione 2023/24, lo schierò mediano in un doppio pivot contro il PSG. Una scelta estrema? No, logica: nessun altro della rosa era in grado di giocare sotto pressione con la stessa naturalezza. 

Luis Enrique ha riconosciuto subito in lui un profilo raro: qualcuno in grado di aderire agli automatismi collettivi — il catalano pretende movimenti chirurgici senza palla — ma poi, una volta ricevuto il pallone, di inventare. È in questa dinamica che Doué prospera. Non è il numero 10 alla vecchia maniera, né un’ala pura: è un catalizzatore situazionale. Un centro di gravità tecnico che può orbitare in ogni zona del campo. 

Doué non imita Neymar. Lo metabolizza. È impossibile non notare le somiglianze con Neymar, suo idolo dichiarato. I tocchi di esterno, i dribbling partendo da fermo, persino alcune soluzioni aeree ricordano le prime stagioni del brasiliano in Europa. Ma Doué ha un’altra struttura, più atletica, più “francese”. Più adatta, forse, a sostenere il calcio di oggi. E soprattutto, ha un’attitudine diversa: meno teatralità, più concentrazione. L’omaggio c’è, certo, ma non è imitazione. È, semmai, una continuazione. 

Il web è pieno di clip che mettono a confronto i due. Ma chi ha visto Doué giocare con continuità sa che è un calciatore in via di definizione, non un emulo. E la sua traiettoria non seguirà quella di nessuno.

Il punto più alto è adesso. Marzo e aprile sono stati i mesi dell’affermazione. Premi individuali, partite decisive risolte con lucidità, e la sensazione, sempre più diffusa, che il PSG abbia in casa un giocatore che può segnare un’epoca. Contro l’Inter, Doué troverà una delle difese più organizzate e reattive del continente. Una finale è, per definizione, il terreno meno fertile per la creatività. Ma è proprio lì che si vedrà se il suo istinto può sopravvivere anche quando l’aria si fa rarefatta e le gambe tremano. 

Per ora, resta l’immagine di un ragazzo che non ha mai avuto bisogno di chiedere il permesso per rischiare. Né per giocare, né per sbagliare. Forse è anche per questo che il suo nome suona profetico: Désiré, perché era atteso. Doué, perché è nato con qualcosa in più. 

E adesso, il palcoscenico di Monaco lo aspetta.

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