Samira, la sposa bambina ribelle
Samira Sabzian Fard ha subito la sua sentenza all’alba del 20 dicembre, impiccata nel carcere di Qarchak, in provincia di Teheran, dopo otto lunghi anni e un rinvio dell’esecuzione, inizialmente programmata per il 13 dicembre. A nulla sono valse le proteste civili e gli appelli delle varie organizzazioni non governative.
Aveva solo quindici anni quando era stata costretta a sposare il marito e diciannove quando fu condannata alla pena capitale per averlo ucciso.
Samira era vittima di violenze domestiche, nonché di un sistema “malato” nel quale i matrimoni come il suo sono la prassi. Erano state queste ad averla spinta, al culmine della disperazione, a compiere il grande gesto.
Avrebbe potuto ricevere clemenza e uscire dal carcere al pagamento di una cauzione – così come era accaduto per la sorella, anche lei accusata, di concorso in reato -, ma la famiglia dell’uomo aveva deciso di invocare il principio del qisas, la legge del taglione, un’arcaica forma di punizione della tradizionale giurisprudenza islamica.
Nella speranza di un perdono, Samira aveva anche rinunciato a vedere i due figli, affidati proprio ai nonni, ma questi erano stati irremovibili. La donna doveva esser punita.
Samira Sabzian Fard è la diciottesima donna giustiziata questo 2023 in Iran, una fra le ottocento impiccagioni totali eseguite.
La sua fine, come quella delle altre donne, rimane nel silenzio. Alcuna pubblicità da parte dei media della Repubblica iraniana, che continua indisturbata nei suoi gioghi di potere.
Le informazioni a disposizione ci vengono dalle ong della diaspora iraniana all’estero, come Iran Human Rights o Hengaw, e da altri media, ritenuti dissidenti da Teheran.
«Samira è stata vittima per anni di un’apartheid di genere, matrimonio infantile e violenza domestica, e oggi è rimasta uccisa dalla macchina omicida di un regime incompetente e corrotto. Un regime che si è sostenuto esclusivamente uccidendo e instillando paura» sono le parole di Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore dell’Iran Human Rights.
«Ali Khamenei e gli altri leader della Repubblica islamica devono essere ritenuti responsabili di questo crimine. Come altre vittime della macchina delle esecuzioni del regime, Samira era tra i membri più vulnerabili di una società senza voce.»
«Le leggi iraniane consentono matrimoni forzati e precoci, non proteggono le donne dalla violenza domestica e poi le ammazzano quando cercano di ribellarsi. Samira Sabzian è la tragica testimonianza di un sistema imperniato sull’oppressione delle donne, sin dalla loro infanzia», ha dichiarato invece in merito Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Dall’autunno del 2022, niente sembrerebbe esser cambiato. Così come allora, però, insieme alla curda Mahsa Amini, Samira diventa un simbolo, moto propulsore che innesca cambiamento all’urlo di “Donna, vita, libertà”.