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Uncanny Valley: il nuovo Tik Tok trend

Musica distopica a scandire un ritmo di sottofondo ansiogeno, un filtro saturato e ad alto contrasto a enfatizzare oltre l’eccesso i tratti del viso già snaturati: questi i canoni a cui attenersi per eseguire al meglio il nuovo trend di Tik Tok, l’allucinogeno Uncanny Valley.

Uncanny Valley make-up

Protagoniste di questa tendenza, e ormai al top dei topic dell’agenda pubblica mondiale degli ultimi anni, sono le intelligenze artificiali.

L’idea di base a questi video, in particolare, si ispira ad un meccanismo cognitivo che si innescherebbe proprio dall’interazione con le AI. 

Uncanny valley theory

Uncanny Valley nel grafico dell’affinità

Tale teoria, elaborata nel 1970 dall’ingegnere giapponese e studioso di robotica Masahiro Mori, esplora le reazioni emotive dei soggetti in esame all’esposizione con androidi a vari stadi evolutivi.

Dalla ricerca emerge come quanto più tali tecnologie riproducano atteggiamenti umani e ci siano simili negli aspetti estetici, tanto maggiore sarà il senso di familiarità e conseguente empatia che proveremmo alla loro vista. 

Vi è, però, un limite oltre il quale il fenomeno subisce una brusca inversione: l’uncanney valley, la zona perturbante.

Qui, la risposta registrata dai campioni sarebbe quella di disgusto, repulsione, inquietudine. Sensazioni dettate dalla realisticità dell’umanità che tali non-umani rappresentano.

Il grafico proposto da Masahiro pone in ascissa la somiglianza di una serie di oggetti con l’aspetto umano, e in ordinata l’affinità provata dagli osservatori al loro cospetto.

Notiamo come, ad esempio, la vista di un robot industriale sia accompagnata da una pressappoco nulla sensazione di familiarità, mentre quella di un robot antropomorfo ci desti simpatia e reciprocità. La curva di gradimento, superata la soglia della uncanny valley, subisce una brusca depressione, toccando il suo minimo alla proposta di raffigurazioni di cadaveri e zombie.

Quando l’aspetto dei robot o di qualsivoglia altro campione comincia a diventare meno distinguibile da un essere umano, la risposta emotiva ridiventa nuovamente positiva. 

La linea raggiunge il suo apice con la rappresentazione di individui sani.

Il perturbante

L’uomo tende ad accogliere ciò che considera a lui familiare e abituale. Respinge, invece, quello che gli è estraneo, in una sorta di meccanismo di autodifesa. È la nostra natura, lo spirito di sopravvivenza che ci spinge a mantenere intatto il nostro sistema, a turbarlo il meno possibile.

Ernst Jentsch, nel suo saggio Riguardo la psicologia del perturbante, analizza nel dettaglio queste dinamiche, formulando il concetto di unheimlich.

La parola tedesca unheimlich, dal punto di vista semantico, deriva da heim, casa. Unheimlich, tradotto letteralmente, significherebbe proprio “non a casa” ed indicherebbe la sensazione di insicurezza, di incomprensione, di disaffinità che l’individuo percepisce di fronte ad una situazione disattesa, inusuale.

Il fenomeno si amplifica in presenza di oggetti inanimati, ma automatizzati e/o somiglianti all’uomo, e con la sovrapposizione di elementi umani a macchine e viceversa. 

Il perturbante si manifesta proprio nell’incertezza, e persiste anche in seguito alla decodifica della realtà.

Un limite della mente o un presentimento oscuro? Il dubbio che affligge, soprattutto alla luce delle recenti innovazioni tecnologiche, è che l’intelligenza e le capacità di apprendimento che questi dispositivi stanno sempre più acquisendo, possano sfuggire al nostro controllo. Che quella scintilla di umanità che si ravvisa sia sintomo di un qualcosa di molto più grande e inimmaginabile.

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