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L’efferato massacro di My Lai

Nel villaggio di My Lai, a circa 840 km dal nord di Saigon, il 16 marzo del 1968 avvenne uno dei più grandi eccidi della storia del secolo scorso. Il contesto è quello della guerra del Vietnam, durante la quale l’esercito del Vietnam del Nord, espressione di un potere dittatoriale comunista, appoggiato da Cina e Unione Sovietica, si scontrò con l’esercito del Vietnam del Sud, guidato da un regime anticomunista e sostenuto dagli Stati Uniti.

Proprio nel 1968 gli USA avevano incrementato il numero dei militari inviati in missione in terra vietnamita non preventivando però le abilità militari delle forze armate avversarie. Le stesse riuscirono infatti ad imporsi in molti degli scontri, arrivando a conquistare la capitale Saigon. Fu proprio questo lo scenario in cui si inserì l’azione militare dei mesi successivi.

Il massacro

Il 16 marzo del 1968 la “Compagnia Charlie” della 23° Divisione di Fanteria fece incursione nel piccolo villaggio di Song My, conosciuto appunto anche col nome di My Lai. Il presupposto sarebbe dovuto essere colpire un ingente plotone di “Viet Cong” rifugiatosi in quella piccola località. Tuttavia così non fu e l’incursione americana nel piccolo villaggio non portò altro che la morte di innocenti. I civili uccisi furono più di 500, molti dei quali torturati. Molte donne furono stuprate, tanti neonati vennero freddati nelle culle dai proiettili statunitensi, il sangue e la morte si diffuso presto in tutto il villaggio. Secondo la testimonianza di un soldato americano diverse madri tentarono di fare da scudo ai figli col proprio corpo mentre altri bambini che fuggivano diventarono anch’essi il bersaglio di fucili e baionette.

L’ufficiale Ernest Medina era l’allora capo della Compagnia, il tenente William Calley era invece il suo secondo. Fu proprio Calley a dare l’ordine di aprire il fuoco contro i civili inermi mentre Medina, dopo aver imposto il cessate il fuoco, comunicò orgogliosamente ma in modo del tutto falso di aver ucciso circa 100 “Viet Cong”. I suoi superiori apprezzarono l’operazione, considerando gli avvenimenti di My Lai come un importante successo.

L’opposizione di Thompson

Mentre i soldati americani si accanivano contro donne, anziani e bambini il sottufficiale Hugh Thompson stava sorvolando col proprio elicottero quella stessa zona. Notando i diversi corpi accatastati nei fossati decise di atterrare. Chiese quindi ad alcuni militari cosa stesse succedendo e quando venne a sapere degli ordini impartiti da Calley intimò ai suoi compagni di fermarsi. Dapprima fece da scudo ad alcuni civili, salvo poi minacciare i soldati di aprire il fuoco contro di loro qualora non si fossero fermati. Poco dopo lo stesso Thompson comunicò via radio al colonnello Frank Barker l’accaduto. Fu quest’ultimo ad ordinare all’ufficiale Medina “il perentorio arresto dell’operazione”.

Thompson

Nel suo rapporto Thompson descrisse minuziosamente i fatti, restituendo il racconto di quella efferata e sanguinaria operazione. Quanto da lui rappresentato fu però assai “rivisto” dal suo superiore, il colonnello capo dell’Undicesima divisione della Fanteria Oran Kenneth Henderson. La versione di Thompson non venne quindi ritenuta veritiera e il suo rapporto emerse in USA soltanto 12 mesi dopo. Furono avviate un paio di investigazioni che non portarono però a nessun risultato e presto il caso venne insabbiato. Dalle ricostruzioni dei fatti si arrivò soltanto a certificare l’involontaria uccisione di 22 civili.

Il processo e le condanne

Addestrandosi con altri soldati della Compagnia, il Ronald Ridenhour venne a conoscenza dei fatti di May Lai e, dopo aver provato ad acquisire più informazioni possibili dagli stessi militari, scrisse una lettera di denuncia al Presidente Richard Nixon e a svariati membri del Congresso senza però ottenere mai una riposta. Qualche mese più tardi sarà poi il giornalista indipendente Seymour Hersh ad ascoltarlo volentieri. L’inchiesta portata avanti da Hersh non riuscì a trovare l’approvazione dei quotidiani americani più importanti, venendo pubblicato in un secondo momento soltanto sulle colonne del giornale “Associated Press”. Per il suo lavoro il giornalista riceverà poi il premio “Pulitzer”.

Dalle successive indagini emersero nuovi dettagli che portarono a processo circa 14 persone, tra queste vi erano anche Medina e Calley. La sentenza della Corte fu di assoluzione per tutti gli imputati al di fuori dello stesso Calley, il quale il 31 marzo del 1971 fu condannato all’ergastolo per l’omicidio premeditato di 22 civili con l’accertamento di ulteriori responsabilità circa l’intera operazione militare. L’intervento del Presidente Nixon però non tardò ad arrivare e all’indomani del verdetto la pena fu tramutata in soli tre anni di arresti domiciliari.

Calley

Soltanto nel 2009 lo stesso militare ammetterà le proprie responsabilità: “Non ci sono giorni in cui non senta rimorso per quanto accaduto quel giorno a My Lai. Provo rimorso per i vietnamiti che sono stati uccisi, per le loro famiglie, per gli americani coinvolti ed i loro cari. Sono veramente dispiaciuto“. Quello di May Lai non sarà l’unico caso di violenza brutale perpetuato dall’esercito americano in Vietnam, il Los Angeles Timer parlerà infatti di altri ben 7 massacri che sarebbero stati compiuti nel territorio vietnamita tra il 1967 ed il 1971.

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