Finzione e realtà. Dalla letteratura di Pirandello al relativismo gnoseologico
Finzione e realtà, elementi di una dicotomia che quasi sempre, proprio a dispetto del nome, si intrecciano in un abbraccio che ne confonde i contorni e i tratti. L’una si lega all’altra e in essa trova la sua stessa caratterizzazione. La prima riesce quasi a divenire reale, venendo ad esistere attraverso l’alterazione della seconda. Quest’ultima invece può innestarsi sulla prima e alimentarsi con essa. Ed ecco che finzione e realtà si mescolano. Aventi genitrice comune, entrambe vedono nell’individuo “l’artista” che le forma e che gli attribuisce di volta in volta concretezza o astrattezza. Entrambe sono un “prodotto dinamico” capace di mutare e di inglobare in esse l’individuo stesso, investendolo sin da subito.
La letteratura pirandelliana
Entrambe trovano traccia nell’artista prima ancora che questi possa solo pensare alla sua opera, fanno parte di sè e trovano spazio anche nel suo meccanismo cognitivo. Non a caso la stessa autodeterminazione porta in sè tracce di entrambe. A questo proposito si potrebbe richiamare la letteratura di Luigi Pirandello, in particolare il suo romanzo “Uno, nessuno e centomila”. In esso il protagonista, Vitangelo Moscarda, si trova quasi ad affrontare una vera e propria frantumazione dell’io. Da una parte vi è l’idea che egli ha della sua persona, dall’altra quella che ne ha la società in cui vive. Tuttavia all’interno di quest’ultima, quasi come in una sorta di matrioska, vi sono una molteplicità di considerazioni e percezioni della sua persona.
Pirandello fa emergere il concetto secondo cui “ognuno è ciò che gli altri vogliono”. Al di là infatti delle proprie azioni, delle proprie parole, ognuno considererà l’altro secondo il proprio modo di pensare. Si arriverà quindi a generare una molteplicità di identità in virtù delle quali l’identificazione di quella reale risulterà certamente impossibile. Non esiste un solo io ma piuttosto una molteplicità di identità di ognuno di noi, all’interno delle quali la realtà dei fatti e la finzione si mescolano e si confondono.
L’individuo, che è l’artista capace di dar vita al reale a alla finzione, è spesso vittima dell’opera stessa. Come si distingue la realtà dalla finzione? E se vi sono più realtà, qual è quella prima? Ed ecco allora come l’uomo nella ricerca e nella percezione di una realtà si trova a far fronte a diversi fattori, come le proprie proiezioni psicologiche, le convinzioni del tempo o i pregiudizi che ognuno per sua natura ha in sè, capaci di renderlo incapace di distinguere finzione e realtà.
Il Relativismo gnoseologico e il “Prospettivismo” di Nietzsche
Risulta essere questa la base del cd. relativismo gnoseologico, secondo cui la conoscenza, intesa come consapevolezza del reale, non pone le proprie basi su criteri oggettivi ma piuttosto su criteri del tutto soggettivi. Secondo questa interpretazione mancherebbero infatti elementi attraverso cui distinguere la realtà delle cose dalla finzione, “ciò che è” quindi da “ciò che non è”. A tale idea si connette poi la tematica della diversità del singolo individuo dagli altri che lo circondano, la sua unicità quindi alla quale si collega una propria percezione del sensibile. Se nella letteratura pirandelliana si trova traccia del relativismo, anche dal punto di vista conoscitivo e psicologico, nella filosofia di Nietzsche si parla invece del cd. “prospettivismo”. Nonostante la differenza terminologica anche nel pensiero del filosofo tedesco si riscontra un’adesione al filone relativista, ponendo grande considerazione nei confronti di una prospettiva, appunto, attraverso la quale si guardano gli eventi e le cose tutte. Per Nietzsche ogni conoscenza è prospettica, di conseguenza per lui non vi sarebbe nessuna verità.
Il Realismo
Nel corso del XIX secolo si afferma in Europa la corrente del realismo, che trova spazio nei diversi ambiti artistici e culturali, come nella pittura, nella letteratura e nella musica. L’obiettivo era quello di restituire un ritratto preciso e autentico della realtà del tempo, rappresentando e riportando unicamente gli elementi propri e reali che caratterizzavano la quotidianità. Per le arti figurative il principale esponente del movimento si ritrova in Francia in Gustave Coubert. In Italia l’artista più autorevole fu Giuseppe Pellizza da Volpedo, autore del celebre quadro Il quarto stato”.
Il Realismo magico
Nei primi decenni del XX secolo invece nasce e si diffonde quella che è la corrente del “realismo magico”. Qui la raffigurazione di scenari assolutamente realistici viene alterata dall’aggiunta di elementi magici e astratti. Il risultato è un perfetto connubio tra la realtà e la finzione che si mescolano all’interno dell’opera stessa. Il tentativo del pittore qui altro non è che far emergere il “magico” dal reale e dalla quotidianità che l’uomo vive, non a caso lo scrittore Arturo Uslan-Pietri riteneva l’uomo stesso “un mistero circondato da fatti realistici”. Col realismo magico non si intendeva allontanare l’osservatore dalla realtà ma, attraverso l’aggiunta del fantastico, di uno scenario quindi che sarebbe pura finzione, estrarre e far risaltare quegli elementi che non sono tangibili in una dimensione ordinaria e reale.
La convergenza
Finzione e verità sono due componenti proprie dell’individuo e della sua stessa vita, si uniscono e trovano in esse reciproca legittimazione. Sono elementi parimenti presenti nel nostro vissuto e capaci di viziarsi l’un l’altro, non è possibile eliminarne uno perchè ganci della stessa catena, come sostenuto anche da Giovanni Papini: “La vita in sè non è illusione nè pura finzione ma i sogni, le illusioni e le finzioni fanno parte della vita, sono elementi essenziali della realtà“.