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Meteore: Marko Livaja, il fuoco che non chiede permesso 

Senza compromessi, mai allineato: il percorso di Marko Livaja è quello di un talento che ha scelto la verità del campo alla vetrina, tra fughe, ritorni e scintille mai spente. 

📷 ranocchiate.it Marko Livaja, attaccante attualmente in forza all’Hajduk Spalato voceliberaweb.it 📷

Certe mattine, alla Pinetina, l’aria sa di acciaio. Il primo raggio di sole filtra tra le impalcature, accarezza gli alberi e indugia sui volti tesi dei protagonisti. Chi sono? Uno è Marko Livaja, vent’anni compiuti da poco, e l’altro davanti a lui è Antonio Cassano. E no, non è la scena di un copione; è la vita vera, feroce e inattesa, di un giovane talento croato che si scontra con l’irriverenza di un veterano che non ha mai saputo davvero accettare le sconfitte.  

A questo punto, cosa può accadere quando l’impeto giovanile si innesta su un carattere già temprato dal tempo? Quel giorno di marzo 2013, nel calcio di inverno che non dà sconti, i due arrivano alle mani – e Livaja, dicono le cronache, ne esce con la meglio

Quell’episodio è più di una rissa da spogliatoio. È la sintesi di un carattere. È la fotografia di un calcio che resiste alla normalizzazione. Livaja non è mai stato un personaggio comodo. Non lo era quando l’Inter lo pescò adolescente dall’Hajduk Spalato, con il volto da adolescente indurito e la tecnica da predestinato. Non lo è stato quando brillava nelle notti europee mentre in campionato arrancava, incastrato tra gerarchie e diffidenze. E, probabilmente, non lo sarà mai. È il classico giocatore che divide: o lo metti al centro, o te lo ritrovi contro. 

Nato a Spalato nel 1993, cresciuto calcisticamente nell’anima ardente dei Balcani, Livaja non ha mai avuto bisogno di essere capito. Ha bisogno di essere lasciato libero. Talento naturale, controllo raffinato, visione periferica e un istinto per il gol che sfugge alle definizioni. Ma anche nervi a fior di pelle, insofferenza per l’autoritarismo, una lingua tagliente e mai diplomatica. Tutto, in lui, parla la lingua di chi non accetta di restare nei ranghi

Il punto più alto della sua carriera arriva paradossalmente proprio nel momento in cui tutto inizia a sgretolarsi. Stagione 2012-13: Livaja segna quattro gol in Europa League con l’Inter, lasciando intravedere un futuro da protagonista. È giovane, potente, tecnico, e sembra avere il fuoco giusto per bruciare le tappe. La carriera di Livaja è, però, una traiettoria obliqua. Passa da Cesena, poi da Russia (Rubin Kazan), Spagna (Las Palmas), Grecia (AEK Atene), fino al ritorno a casa, all’Hajduk Spalato. Ovunque lascia qualcosa. Gol, giocate, tensioni. Ma anche una domanda sospesa: e se fosse rimasto in un grande club, avrebbe trovato la consacrazione? O avrebbe perso sé stesso? 

All’AEK Atene trova forse la dimensione più adatta al suo spirito. Non è più un giovane da plasmare, ma un leader riconosciuto. Vince il campionato nel 2017-18, viene eletto miglior giocatore della Super League nel 2020-21, segna in Europa, incanta in patria. Rinasce. Non come stella globale, ma come simbolo. Rappresenta una Grecia calcistica mai arrendevole, sempre romantica, dove la tecnica si impasta con il carattere. Atene lo adotta, lui ricambia con gol e fedeltà. 

In Nazionale, entra nel gruppo vicecampione del mondo nel 2018, poi diventa protagonista nel ciclo successivo. Segna gol pesanti nelle qualificazioni e nella Nations League, partecipa al Mondiale 2022. Non è una colonna come Modric o Perisic, ma è un pezzo del mosaico. Un interprete essenziale di un calcio che si nutre anche di figure atipiche. 

Nel 2021, sceglie di tornare all’Hajduk. Non per chiudere, ma per completare. Trascina la squadra a una Coppa di Croazia, segna a raffica, indossa la fascia da capitano. Diventa l’uomo-simbolo di un club storico in cerca di riscatto. Per la sua gente, è più di un attaccante: è uno specchio. Un’identità. Una promessa mantenuta. 

E allora, oggi, cosa resta di Marko Livaja? Resta una figura che interroga. Un talento che non ha mai avuto bisogno di adornarsi di numeri per essere notato. Un giocatore che ha saputo scegliere luoghi in cui essere sé stesso, rinunciando ai riflettori globali in cambio di una libertà autentica. 

Può esistere ancora, nel calcio moderno, uno spazio per chi rifiuta la disciplina del sistema? C’è posto per chi è più fuoco che metodo? Livaja risponde, ogni domenica, senza parlare. Con un gol. Un assist. Un cartellino. Una reazione fuori copione. Tutte cose che, nel suo caso, sono forme di verità. 

Perché nel calcio — come nella vita — non sempre vincono i più forti. Ma i più veri, quelli sì, lasciano il segno. 

📷 Fonte copertina: ranocchiate.it 📷

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