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Quarant’anni dalla crisi di Sigonella

Quando il governo italiano sfidò gli Stati Uniti(ed ebbe la meglio). Craxi, il Medio Oriente e quel braccio di ferro notturno con Reagan👇

📸quotidiano.net – La base NATO di Sigonella(Sicilia), teatro della crisi del 1985 – voceliberaweb

Incredibile a dirsi guardando all’odierno scenario geopolitico, eppure c’è davvero stato un tempo in cui l’Italia riuscì a fare la voce grossa in campo internazionale. Erano anni turbolenti, gli ottanta del secolo scorso. Anni segnati dal terrorismo su scala globale, in cui si originavano alcuni dei più grandi misteri italiani, e la direttrice geopolitica più calda attraversava il Medio Oriente, con il conflitto israelo-palestinese a fare da sfondo, allora come oggi.

In un tale contesto di complessi intrighi transnazionali, matasse e micidiali pressioni si colloca un’importante pagina di storia contemporanea del nostro paese.

I FATTI – 10/11 OTTOBRE 1985

I rapporti diplomatici tra Italia e Stati Uniti non sono mai stati così vicini allo strappo come nella notte tra il 10 e l’11 Ottobre del 1985 sulla pista della base militare di Sigonella, in Sicilia. Ma la vicenda parte da più lontano. Parte da una nave battente bandiera italiana, la “Achille Lauro”, che qualche giorno prima era stata dirottata da un gruppo di terroristi che si dichiarano affiliati all’Olp(il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina, che in quegli anni sta vivendo il picco della sua lotta armata contro Israele).

Assunto il controllo dell’imbarcazione, questi ultimi fanno in tempo ad assassinare uno dei passeggeri(si tratta di un ebreo statunitense di nome Leon Klinghoffer) gettandone il corpo in mare. A Roma, l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, di concerto con il ministro degli esteri Andreotti, opta per la via diplomatica. Il contatto diretto con Yasser Arafat(leader dell’Olp) e la mediazione egiziana sembrano portare rapidamente alla soluzione del caso: i terroristi si arrendono, dietro promessa di trasferimento(su mezzo egiziano) in altro paese arabo(la Tunisia).

Ma la notizia del dirottamento armato di una nave nel mediterraneo, nonché del contestuale omicidio di un cittadino americano, giunge naturalmente anche a Washington. Gli Usa, nella persona del presidente in carica Ronald Reagan, decidono di intervenire accompagnando il velivolo con a bordo i dirottatori alla base militare di Sigonella – dove è noto esserci un distaccamento della Marina statunitense – allo scopo di prenderli in custodia.

Ed è qui che lo scontro rischia di materializzarsi. La cronaca è la seguente: in tarda serata, il Boeing 737 egiziano viene fatto atterrare lungo la pista della base siciliana, a seguirlo vi sono quattro caccia statunitensi. Una volta a terra, come da istruzioni ricevute dal governo di Roma, gli operatori VAM e un nucleo di carabinieri provvedono a circondare l’aereo. Ma non sono da soli.

Dai caccia americani e da ulteriori due aerei Lockheed, sopraggiunti a luci spente e senza autorizzazione, escono uomini della Delta Force, che in men che non si dica formano un secondo cordone attorno al velivolo.

Il culmine della tensione viene toccato nel momento in cui un altro nucleo di carabinieri, con le armi spianate, accerchia i soldati americani. Seguono minuti tesissimi. I terroristi palestinesi, tra cui figura Abu Abbas, rimangono all’interno del Boeing che avrebbe dovuto condurli a Tunisi, fuori è il tipico stallo alla messicana: tre cerchi concentrici, forze armate americane e autorità italiane che si fronteggiano, l’escalation che può scoppiare da un momento all’altro. Sembra di trovarsi dentro un film thrilling, eppure sta accadendo davvero.

LE POSIZIONI IN CAMPO

Mentre sulla pista di Sigonella vanno in scena le operazioni sopra descritte, a muovere le pedine, da lontano, sono i due player principali: i governi americano e italiano. Quella notte, in quelle ore frenetiche dove si rischia il disastro diplomatico, la linea telefonica che collega Casa Bianca e Palazzo Chigi si surriscalda come mai avvenuto prima. Parte americana: in nome dell’interesse nazionale statunitense Reagan cerca di scavalcare l’Italia, l’intento è chiaro: prendere in custodia i terroristi e interrogarli sul suolo statunitense, al riparo da interferenze di sorta.

Da parte italiana, il muro non cede. La replica di Craxi è ferma, non eccepibile in punta di diritto; poiché i reati contestati al gruppo terroristico sono stati consumati nelle acque territoriali egiziane, ma a bordo di una nave italiana, allora è la giustizia italiana a dover farsene carico, stabilendo eventualmente quanti e quali soggetti estradare.

Ulteriori pressioni dall’America non sortiscono l’effetto sperato. L’inamovibilità del governo italiano non lascia altra scelta a Reagan se non quella di ordinare il ritiro dei militari statunitensi. A prevalere, ed è incredibile rileggendolo a posteriori, è almeno in quel frangente la linea italiana su quella dettata come preferibile dagli USA. Di fatto non accadrà più.

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