Speciale Corea del Sud

Haenyeo, le dee sommerse di Jeju: il respiro delle donne che sfidano il mare e il tempo 

Sulle coste battute dal vento dell’isola di Jeju vivono le Haenyeo, donne del mare che si immergono senza bombole né paura, custodi di un’eredità culturale millenaria.  

http://voceliberaweb.it

“Il mare non ha padroni, solo figlie ostinate”. E sono ostinate per davvero le Haenyeo, donne del mare, che da secoli si immergono senza bombole lungo le coste dell’isola vulcanica di Jeju, nel sud della Corea, sfidando la profondità, la solitudine e il freddo con la sola forza dei polmoni e della memoria. 

Non sono atlete, né avventuriere. Sono madri, vedove, figlie. Sono un movimento vivente a una cultura che sopravvive tra gli scogli e il sale, nelle rughe delle mani, nelle pieghe delle mute nere, nelle ceste piene di abalone, ricci e alghe. 

Molte hanno superato i settant’anni, altre ne hanno più di ottanta e la loro forza è infinita. Si alzano all’alba, indossano la muta come una seconda pelle, si legano i capelli sotto cuffie strette e cominciano il loro cammino lento verso il mare come in un rituale silenzioso. Ogni immersione è un atto di fede. Trattengono il respiro anche per due minuti, raggiungendo fondali profondi senza strumenti, guidate solo dall’intuito e da una vita intera di ascolto. 

Il loro sumbi-sori, il respiro sibilante che emettono riemergendo, è una specie di canto antico, tra lamento e sollievo. Un suono di chi trattiene la vita e poi la restituisce. 

Donne contro corrente

Nella tradizione patriarcale coreana, le Haenyeo sono un’eccezione clamorosa. In molte comunità di Jeju, infatti, erano proprio loro a mantenere la famiglia; mentre gli uomini si occupavano di mansioni più leggere, o della pesca in acque meno profonde. 

La loro economia era matriarcale, solidale, fondata su un senso del dovere che travalicava la sopravvivenza. Erano pescatrici, certo, ma anche levatrici, protettrici del villaggio, e a volte persino sciamane. Il mare era, però, una divinità ambigua: nutriva e prendeva.  

Per questo motivo, esistevano anche riti di propiziazione prima di entrare in acqua, offerte alle divinità marine, preghiere per chi non aveva mai fatto ritorno a riva. Ogni villaggio aveva così il proprio santuario, e ogni famiglia Haenyeo portava avanti una linea femminile di sapere trasmesso a voce, attraverso generazioni. 

La madre, il mare e la memoria: Jeju e le Haenyeo nei k-drama 

Il valore simbolico e culturale delle Haenyeo è così potente da entrare con forza anche nella narrazione coreana contemporanea. Nel k-drama “Quando la vita ti da mandarini”, ambientata proprio a Jeju, la madre di Ae-sun, la protagonista, è una haenyeo di mezza età. Con il volto temprato e l’animo indurito dalla fatica, Jeon Gwang-rye rappresenta con realismo e delicatezza il mondo di queste donne del mare, così come la loro resistenza e il loro silenzioso eroismo. 

Attraverso lo sguardo di Ae-sun e Gwan-sik, protagonisti della fiction, è possibile notare una parte dell’identità dell’isola di Jeju che spesso si perde nel folklore: non solo bellezza paesaggistica innegabile, ma anche radici, sudore, ostinazione. E di tutto questo le haenyeo non sono solo sfondo: sono parte del tessuto emotivo della trama, simbolo di una femminilità irriducibile

http://thegamer.com Ae-sun e sua madre, Gwang-rye voceliberaweb.it

Una cultura che affonda 

Nel 2016 l’UNESCO ha dichiarato le haenyeo patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Il riconoscimento, tuttavia, per quanto prestigioso, non basta a fermare l’erosione lenta della tradizione. Di fatto, oggi sono meno di 3.000, rispetto alle oltre 20.000 degli anni Sessanta. Questo perchè le giovani donne non raccolgono l’eredità delle madri, preferendo ad essa la città, lo studio e la sicurezza di un lavoro che non richiede sacrifici fisici estremi.  

Eppure, qualcosa comunque resta. A Jeju, le statue delle Haenyeo costeggiano le strade. I musei locali, invece, ancora raccontano le loro storie. Alcune scuole offrono dei corsi per tramandare almeno la tecnica. Ma ciò che davvero resiste è l’eco del loro respiro, quel sumbi sori che parla più forte della voce.

Un’eredità che ci riguarda 

Le haenyeo sono molto più di un fenomeno etnografico. Sono la dimostrazione che un altro modo di abitare il mondo è possibile: più lento, più consapevole, più interconnesso. In un’epoca che celebra la velocità, la tecnologia e l’automazione, la forza di queste donne ci ricorda l’importanza della resistenza, della manualità e il valore dell’ascolto. Del silenzio

Nel loro cammino verso l’oceano c’è una dignità che in realtà non si può insegnare, con nessun corso. Si può solo osservare. O raccontare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *