Corea del Sud, svolta politica con Lee Jae-myung: una nuova era tra speranze democratiche e timori geopolitici
La vittoria del nuovo presidente della Corea del Sud, Lee Jae-myung, è stata accolta con entusiasmo da una popolazione in cerca di stabilità, ma solleva dubbi tra gli analisti internazionali. Riuscirà a muoversi tra le insidie interne e le minacce esterne di una regione mai pacificata?

La Corea del Sud ha scelto: dopo mesi di caos istituzionale e incertezze, il popolo sudcoreano ha eletto Lee Jae-myung come nuovo presidente. Esponente di punta del Partito Democratico, collocato nel centrosinistra, Lee ha ottenuto 49,42% dei voti, superando il conservatore Kim Moon-soo, fermo al 41,15%.
Una vittoria netta, senz’altro figlia del malcontento popolare e della sete di normalità dopo mesi turbolenti. L’affluenza, al 79,4%, è stata la più alta dal 1997: un segnale chiaro di un paese che vuole tornare a respirare.
Come si è arrivati a quest’elezione? Il voto si è reso necessario dopo la destituzione di Yoon Suk-yeol, presidente uscente, accusato di abuso di potere per aver imposto la legge marziale a dicembre 2024 durante le proteste contro la sua riforma giudiziaria. Il suo impeachment ha aperto un’enorme frattura nella vita politica del Paese, portando la Corea del Sud sull’orlo del collasso istituzionale.

In questo contesto, Lee Jae-myung si è inserito come figura di rottura. Ex avvocato per i diritti civili, ex sindaco di Seongnam e volto noto della sinistra sudcoreana, ha puntato tutto su un messaggio di riconciliazione democratica, trasparenza e rilancio economico.
A proposito dell’ultimo punto, Lee ha promesso riforme economiche volte a sostenere le piccole e medie imprese, a contrastare la disoccupazione giovanile e calmierare i prezzi immobiliari, che da anni sono fuori controllo nelle grandi città sudcoreane. Sul fronte internazionale, ha dichiarato di voler adottare una diplomazia pragmatica, riavviando i colloqui con la Corea del Nord e rafforzando, al tempo stesso, l’alleanza strategica con Stati Uniti e Giappone.
Tuttavia, proprio questo punto suscita le prime tensioni: una presidenza marcatamente progressista potrebbe sbilanciare gli equilibri geopolitici della penisola coreana.
Perché? La Corea del Sud è formalmente ancora in guerra con il Nord dal 1953: l’armistizio firmato a Panmunjom ha congelato il conflitto, ma non lo ha mai risolto. Ogni apertura verso Pyongyang, se non accompagnata da fermezza militare e diplomatica, rischia di essere interpretata dal regime di Kim Jong-un come un segnale di debolezza.
Lee ha più volte espresso la volontà di ridurre le tensioni intercoreane e rilanciare il “dialogo del sole”, già sperimentato dai presidenti progressisti Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun negli anni Duemila. Ma il contesto è oggi radicalmente diverso: la Corea del Nord ha moltiplicato i test missilistici, ha mostrato un arsenale nucleare in espansione e si è avvicinata alla Russia e alla Cina, rompendo ogni illusione di distensione reale.
In questo quadro, l’eventualità che Seoul adotti una linea morbida rischia di destabilizzare ulteriormente l’area. Non mancano le voci critiche, anche all’interno dell’esercito sudcoreano, che temono un allontanamento dagli Stati Uniti o concessioni eccessive al Nord.
Sul piano interno, Lee non parte con un consenso unanime. È tuttora oggetto di un’indagine per presunti casi di corruzione legati a quando era sindaco di Seongnam – accuse che ha sempre respinto, ma che ne minano l’immagine. Inoltre, l’opposizione conservatrice controlla ancora il Parlamento, il che potrebbe ostacolare l’approvazione delle sue riforme più ambiziose.
Il suo compito, in altre parole, è titanico: da oggi dovrà sanare una nazione divisa, rilanciare un’economia in difficoltà e tenere testa ai delicati equilibri internazionali, il tutto sotto una lente di ingrandimento globale.
Con Lee Jae-myung alla guida, la Corea del Sud entra in una fase nuova e incerta. È un cambio di rotta che punta su apertura, inclusione e pace, ma in una regione dove la pace è una promessa sempre fragile, ogni passo dovrà essere calcolato con precisione chirurgica.
Il futuro della penisola dipenderà dalla capacità di Lee di coniugare idealismo e realismo, ma anche da quella di non farsi tentare da un pacifismo retorico che potrebbe esporre il Sud a nuovi rischi. Perché con il Nord non basta tendere la mano: serve anche sapere quando chiuderla a pugno.