Speciale Corea del Sud

Brothers Home: la vera storia che ha ispirato il k-drama Squid Game

Dopo la fama internazionale ottenuta grazie alla prima stagione, Squid Game è tornato su Netflix per la tanto attesa seconda. Nel giro di pochi giorni, però, alcune persone su vari social hanno esposto l’idea che lo spettacolo sia basato su una storia vera, ovvero quella delle Brothers Home.

Brothers Home in Busan, January 1987

Con i suoi 132 milioni di spettatori in tutto il mondo già solo nei primi venticinque giorni di messa in onda, la serie tv sudcoreana Squid Game ha superato persino La Casa di Carta e Bridgerton e, ad oggi, si conferma una delle serie TV più viste al mondo.

Con l’uscita della tanto attesa seconda stagione, sono tornati i giochi brutali, le note tute rosse,  la narrazione magnetica e soprattutto il sottotesto sociale. Ed è qui che la realtà e la finzione iniziano a intrecciarsi.
Nessuno infatti si sarebbe mai immaginato che i fatti riportati all’interno di questa serie potessero far riferimento a una triste realtà. E in un passato nemmeno troppo remoto.

Il regista della serie, Hwang Dong-hyuk, ha affermato di essersi ispirato alle proprie difficoltà nel mondo dell’intrattenimento, così come alle sue riflessioni sulla feroce competizione e sulle disuguaglianze generate dal capitalismo nella Corea del Sud contemporanea. Tra le principali fonti di ispirazione, spiccano gli abusi avvenuti negli anni ’80 nelle cosiddette Brothers Home.

Negli anni ’80 la Corea del Sud era in piena espansione economica. L’intero paese era in fibrillazione per i Giochi asiatici del 1986 e le Olimpiadi di Seul del 1988, e perciò il governo iniziò a sostenere un lavoro di rinnovamento dell’immagine della nazione.
Nell’aprile del 1981 veniva così emesso un ordine del Presidente Chun Doo-Hwan per ripulire le strade coreane. In base all’ordinanza che consentiva la detenzione arbitraria dei vagabondi, furono istituiti centri di assistenza sociale: le Brothers Home.

Questi centri, ricevevano sussidi dal governo in base al numero di persone di cui si “prendevano cura”. Durante questi progetti di purificazione sociale, sarebbero stati portati nei centri però anche disabili, bambini orfani e anche semplici cittadini la cui unica colpa era stata non aver mostrato i loro documenti d’identità alla polizia.

Secondo un’indagine del procuratore locale di Busan, meno del 10% delle persone intrappolate in queste strutture erano davvero dei senzatetto. Inoltre, ognuna delle persone arrivate nei centri sarebbe dovuta rimanervi solo per un anno ricevendo una formazione, per poi essere reinserita nella società. Ma la verità dei fatti fu che molti furono liberati solo nel 1987.

Il più grande di questi centri fu il Hyungje Bokjiwon, non lontano da un’area residenziale di Busan. Al suo apice, la struttura contava circa 4000 detenuti, i quali raccontarono poi come venissero sfruttati e trattati inumanamente, riducendo al livello di schiavi persino i bambini.
La strategia attuata consisteva nel far sì che i detenuti abusassero di altri detenuti in un circolo vizioso senza fine, proprio come metaforicamente tradotto in Squid Game.
All’interno dei cosiddetti plotoni, che ospitavano fino a 120 detenuti in file di letti a castello, regnava la violenza. Tutti erano sottoposti a punizioni collettive inflitte dai capi plotone, che spesso consistevano in giochi, trasformati in vere e proprio torture, proprio come nella serie tv.
Ufficialmente, 657 persone sono morte nella struttura ma è opinione diffusa che il numero reale sia molto più alto.

Nel 1986, a Busan iniziarono a circolare voci di persone trattenute contro la loro volontà e di uccisioni nei centri. In seguito a una soffiata, un procuratore locale visitò a sorpresa uno dei cantieri della Brothers Home, dove fotografò uomini con grandi bastoni che sorvegliavano i lavoratori.
Park In-keun, proprietario della Brothers Home di Busan, fu arrestato nel gennaio 1987, accusato di appropriazione indebita e confinamento illegale, ma alla fine fu assolto dalla seconda accusa e non fu mai chiamato a rispondere delle violazioni dei diritti umani perpetrate nel centro. Invece di essere incarcerato per 15 anni per aver sottratto milioni di dollari di sussidi governativi, Park fu condannato a soli due anni e mezzo di carcere.

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